Quasi non passa giorno, da due mesi a questa parte, che la stampa non ci ricordi che lo spread dell’Italia è migliore di quello della Spagna. Pare che questo traguardo, raggiunto nei mesi successivi alla manovra di bilancio del Governo in carica, possa rappresentare di per sé una rassicurazione.
E’ bene invece dare una rappresentazione più ampia dei dati.
Il grafico che segue mostra il costo del debito pubblico per Spagna, Italia, Francia e Germania, i quattro maggiori Paesi dell’area Euro, in dipendenza dalla distanza dal rimborso dei titoli, espressa in anni.
Si vede bene come la differenza tra Italia e Spagna, sotto questo profilo, sia minima. E come sia molto elevato il maggior costo del debito, su tutte le scadenze, che ci separa da Francia e Germania.
L’Italia paga maggiori costi per unità di debito su un ammontare di debito più elevato, un debito che al termine del 2011 era pari al 120% del PIL, contro un dato del 69% per la Spagna, del 86% per la Francia e del 82% per la Germania. Tutti questi Paesi produrranno nel 2012 e negli anni successivi ulteriore deficit. Limitandoci al 2012, le previsioni del FMI sono: 2,4% del PIL per l’Italia, 6,0% per la Spagna, 4,6% per la Francia, 0,8% per la Germania.
Ovviamente le strutture di queste diverse masse di debito pubblico sono differenti, sia per scadenze che per caratteristiche dei creditori, interni o esterni, privati o istituzionali. Ma se vogliamo avere una sintesi della gestibilità delle diverse situazioni, un aiuto ce lo dà il rapporto tra il fabbisogno finanziario lordo dei prossimi tre anni e il PIL. Il fabbisogno finanziario lordo è costituito dalla somma, per ciascun anno, tra il debito in scadenza e il deficit prodotto.
Ecco la tabella:
Naturalmente anche questi dati non dicono tutto. Diverse sono infatti le economie chiamate a prestare garanzia per queste richieste di prestito e qui, davvero, qualche vantaggio sulla Spagna lo abbiamo. Ma questo elemento positivo è in buona misura compensato da quelli negativi.
Se infatti analizziamo il costo per assicurarsi rispetto al default di ciascuno dei due Paesi e se rapportiamo questo costo a quello relativo agli altri Partners dell’area Euro, torniamo vicini al punto di partenza. La tabella che segue paragona appunto il prezzo dei Credit Default Swaps a 5 anni dei Paesi dell’area.
Innanzitutto rileviamo una forte dispersione dei valori. Il dato portoghese segnala elevate probabilità di ristrutturazione del debito nei prossimi anni. I dati spagnolo e italiano, nuovamente peggiorati negli ultimi due mesi, sono oggettivamente preoccupanti.
Le forti divergenze negli indici del merito di credito, si tratti di CDS o di tassi di interesse, costituiscono senza dubbio una anomalia nel quadro dell’unione monetaria. L’impegnativa scelta della moneta unica non è stata seguita da una convergenza economica e di bilancio, nonostante una continua trattativa intergovernativa.
Dal punto di vista dell’investitore il dato non è da sottovalutare. Anche escludendo gli scenari più drammatici, come il default di un Paese importante o il ritorno ad una moneta nazionale da parte di uno o più Paesi, gli investimenti in titoli di stato dell’area Euro, di qualsiasi emittente, saranno verosimilmente soggetti ad un elevato rischio di volatilità dei prezzi. Le scelte più aggressive potrebbero esporre a forti perdite chi fosse costretto a liquidare dalla necessità o dalla paura. A molti di coloro che hanno investito in titoli greci, portoghesi, irlandesi ma anche italiani è già avvenuto. Le scelte più difensive, Bund e simili, potrebbero riservare amare sorprese nella misura in cui i Paesi più forti vogliano o debbano farsi carico di tenere insieme l’unione monetaria per evitare guai peggiori.
Non ci sono più attività per cassettisti, si potrebbe dire. A meno che non si consideri soddisfacente, al netto dell’inflazione, pagare anziché essere pagati per prestare il proprio denaro.