I credit default swaps dei Paesi “periferici” dell’area Euro tornano a salire in modo preoccupante. Accertato ormai che la Grecia non è in grado di far fronte ai propri impegni, davvero Portogallo, Irlanda e Spagna rischiano di trovarsi nelle stesse condizioni? E davvero l’Italia fa parte del medesimo problema?
E’ un dato di fatto che gli spreads dei titoli di stato di questi Paesi rispetto ai Bund tedeschi si è tornato ad allargare. Quello dei nostri BTP è tornato verso i centocinquanta punti base, dopo essere rimasto per mesi tra gli ottanta ed i cento. E si tratta dell’incremento più basso. Tuttavia il dato è composto in parte dalla salita dei rendimenti richiesti ai Paesi più rischiosi ed in parte dalla diminuzione di quelli richiesti ai titoli della Germania. Il decennale tedesco rende oggi il 2,8% lordo rispetto al 3,1% di fine Marzo, sicchè 30 punti base sono dovuti al “fly to quality” e non vanno a gravare sul costo di finanziamento ipotizzabile per le emissioni future.
Al netto del rally dei Bund, la crescita dei rendimenti prezza il maggior rischio di default dei rispettivi emittenti sovrani, nella la prospettiva che il rapporto deficit/PIL di tali emittenti divenga insostenibile. La domanda è se si tratti di un prezzo equo, se invece non rifletta una reazione emotiva o, come qualcuno sostiene, una reazione volutamente provocata dalla speculazione o da ambienti interessati.
Dato per scontato che il punto di vista delle agenzie di rating e dei profeti di sventura sia stato abbondantemente riportato, un punto di vista differente, che ci pare utile conoscere, lo possiamo trovare nell’intervista concessa dal professor Marco Fortis a Lorenzo Torrisi, per il quotidiano on line Il Sussidiario. Si tratta di un punto di vista argomentato con numeri e non con incontrollabili dietrologie.
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Tra le diverse tesi del professor Fortis ne evidenziamo in particolare una, l’inadeguatezza del PIL quale termine di paragone sia per il deficit che per il debito pubblico. Si afferma in sostanza che il prodotto interno lordo non costituisce la fonte diretta per far fronte al debito. Tra il PIL e la remunerazione del debito – magari anche il suo abbattimento – ci sono le imposte. E le imposte possono gravare su di un sistema paese in funzione di molti fattori, di cui il PIL non è che uno. Il professor Fortis pone in risalto la ricchezza delle famiglie e delle imprese in termini di patrimonio, non di reddito, cui concorre lo stock di debito privato e la tenuta delle quotazioni immobiliari. Si possono aggiungere la concentrazione dei redditi ed il tasso di evasione fiscale. Ed ancora la coesione sociale e, almeno nel lungo termine, la dinamica demografica, la qualità della spesa sociale e della spesa pubblica in genere, eccetera.
E’ comunque un fatto che la somma di debito pubblico e debito privato produce una classifica assai diversa di quella prodotta analizzando semplicemente i bilanci statali.
Nel corso della crisi i governi e le banche centrali di tutto il mondo hanno dilatato le proprie responsabilità. Per evitare che il collasso del sistema bancario travolgesse l’economia hanno aumentato notevolmente il debito pubblico e gli strumenti di intervento. Questo riguarda soprattutto i Paesi anglosassoni ed in misura minore l’Europa. Da questa espansione del debito discende che le sorti economiche dei diversi Paesi dipenderanno ancora di più dalla qualità dell’azione politica dei rispettivi governanti. Oggi l’area Euro paga maggiormente le incoerenze e le indecisioni – la frammentazione, in radice – della sua politica che non i fondamentali economici che possono essere calcolati sommando i dati dei Paesi che la compongono.